Descrizione
24.08.2016 ore 3.36 fine di un mondo. La scossa di terremoto che ha distrutto il comune di Arquata del Tronto, radendo al suolo la frazione di Pescara, ha portato via con sé decine di vite e l’illusione che si potesse vivere fuori dal tempo.
In quel lembo di universo sembrava possibile, ma è andata diversamente. Ora che l’estate è finita per sempre bisogna fare i conti con la realtà: la spensieratezza è perduta. La memoria invece resiste, ma è diventata malinconia. In questo breve romanzo alcuni luoghi di Pescara del Tronto, Pdt, rivivono per qualche pagina, a tratti assieme a quelli di altri centri del comune.
La protagonista è Alexandra, sorella coraggiosa che dopo nove ore di resistenza sotterranea è riemersa dalle macerie e dopo qualche centinaia di flebo è uscita anche dall’ospedale. Accanto a lei orbitano mamma e papà, che non ce l’hanno fatta. Ma prima di raggiungere gli ospedali e conquistare il diritto alla malinconia bisognava camminare sulle macerie, con le scarpe sbagliate, dall’ingresso del paese fino a quello che restava della casa di famiglia.
Durante il tragitto sono riemersi personaggi del passato, “tipi” che forse si possono ritrovare in ogni piccolo centro: il Poeta, il Vigile urbano, il Gestore del circolo culturale, il rivoluzionario, che qui prende il nome di Che, il Fotografo, e altri. Alcuni non ci sono più, tutti comunque convivono nel racconto con amici d’infazia, cugini, zii, genitori.
A tenere insieme tutto è l’amore per un mondo perduto, il dolore per le persone scomparse e la necessità di provare a comprendere come sia stato possibile che il luogo del cuore ci abbia tradito. Mentre continuiamo a guardare gli sfondi delle foto di ieri, forse ci possiamo aggrappare a una piccola speranza, la scala bianca che ha resistito e porta ancora alla chiesa che non c’è più. Ci si può sedere su un gradino e chiudere gli occhi. Chissà se funziona.
Un’opera, questa, che è stata definita una Via Crucis laica.
“Un modo per rivivere dei momenti precedenti anche al sisma del 2016. Ricordando non solo quello che è accaduto e che è sempre presente in sottofondo, ma soprattutto quello che è stato perso. Quest’opera è sulla malinconia, più che sul dolore. Sul ricordo, compreso quello di cose belle. Questi sono paesi unici, ma al tempo stesso emblematici. Universali. Luoghi dove c’è il rivoluzionario che in realtà non fa la rivoluzione, il barista che sa le cose di tutti”.
“Noi ne avevamo di particolari. Il fotografo con un occhio di vetro, il più bravo di tutti a fare le fotografie. A noi sembrava normale, ma è evidente il suo fascino. Avevamo un vigile urbano che giocava al biliardo. Quando era impegnato al tavolo, la quantità di multe subiva un drastico calo. Racconto questo mondo che secondo me non va perduto, quel modo di vivere in cui le persone rimangono se stesse, autentiche per sempre. Ho voluto raccontare non solo la tragedia, ma anche ciò che è andato perduto”.
Scopri di più sull’autore
Romanziere involontario, Marcello Filotei di solito mette in musica quello che non riesce a dire. Questa volta ha scavato nella sua esperienza di cronista dell’Osservatore Romano per provare a raccontare con le parole una vicenda personale che aveva necessità di fissare su carta.
Mostro bifronte, metà giornalista e metà compositore, gode di frequenti sbalzi di umore. Sfruttando i momenti di ottimismo ha preso qualche diploma in conservatorio, negli stati di malinconia ha messo in musica o in prosa quello che sente. In attesa che un archeologo del XXIII secolo ne riconosca il fondamentale ruolo giocato nella cultura del suo tempo, il Nostro vede le sue opere eseguite in festival italiani e stranieri e confida in un successo letterario planetario che gli consenta di rimanere chiuso in casa a riflettere su cose prevalentemente inutili.
Seconda edizione: 2019 – 2021
Isbn: 978-88-96823-36-1
Cinzia Rutili
21 Gennaio 2022 at 23:05La lettura de L’ultima estate è una di quelle veloci, avvincenti, che tengono col fiato sospeso per l’attesa della conclusione. Ma è anche lenta, tutta da gustare nella descrizione di luoghi rievocati dalle scelte parole dell’autore, e di veri e propri personaggi, protagonisti di scene di vita di un mondo scomparso, superato nella scansione dei tempi e nei modi di condurre l’esistenza. Eppure è un mondo reale, esistente, popolato, quello che la notte che in un sol colpo ha spazzato via – davvero questa volta – tutto, si presenta agli occhi, e affiora nei ricordi dell’autore. L’emotività non è assente, ma è contenuta, nella lucidità che una situazione di tale drammaticità richiede. O si soccombe o si reagisce, appoggiandosi ai ricordi di vita quotidiana, facendo riemergere quadri di ritmi paesani, e tipi umani, persino con ironia, neppure troppo velata. Sembra di ripercorrerle quelle stradine, di trovarsi davanti la chiesa, di sentire lo scorrere dell’acqua della fontana. O di assistere ai giochi di adulti e bambini.
Suoni, voci, pianti, sussurri, risate fragorose, clacson, boati, fruscii, stridore, silenzi… Elementi che l’opera musicale tratta dal libro, anch’essa di Filotei, porta alla coscienza e fa vibrare nell’anima dello spettatore, cui la voce narrante concorre a dare corpo.
Il risultato è di grande piacevolezza, e di sospensione al livello delle emozioni. Fra queste una nostalgia per quello che non esiste più, in termini di perdite umane soprattutto, ma anche nostalgia per ciò che quelle stesse persone erano in quel luogo in quel tempo. Per quelle scene descritte e impresse negli occhi di chi ce le ha donate affinché ne fossimo partecipi.